Di Maio, il marchettaro passato dal “Vaffa” al “mainstream” in nome della pagnotta

Esistono i falsi amici, i falsi magri e – soprattutto – i falsi intransigenti, modello Luigi Di Maio da Pomigliano d’Arco. Di tale categoria, il ministro degli Esteri è certamente uno tra i campioni più puri. Indizi in tal senso, a suo carico, sussistevano praticamente da sempre, anche a dispetto dell’eroina furore anti-casta che versava nei suoi video. E sì, perché più delle sue implacabili parole contro la «vecchia politica» a colpire chi guardava era la sua impressionante somiglianza con i vecchi politici. Sorriso prestampato, grisaglia d’ordinanza parlamentare e capello pettinato: un Forlanibonsai, praticamente. Persino un bambino si sarebbe accorto che a quelle parole roventicorrispondevano in realtàpensieri ignifughi, refrattari al rogo della passione ma disponibilissimi ad abbandonarsi al fuoco lento del potere.

E così è stato: poco alla volta, Di Maio è diventato quel che era, fino a far coincidere interamente i suoi pensieri con le sue parole. Più si consolidava nel Palazzo, più gli apparivano insensate le antiche utopie grilline. Certo, mai lo avrebbe ammesso pubblicamente, ma a tradirlo provvedevano il suo spiccatissimo fiuto e un senso della posizione che avrebbe fatto felice il mago Helenio Herrera. Ricordate? Sgattaiolava via sempre un secondo prima che venisse giù qualcosa. Ne sa qualcosa Vito Crimi, ritrovatosi reggente del MoVimento non appena le elezioni regionali in Calabria ed Emilia Romagna del gennaio 2020 avevano notificato che il vento era cambiato. Di Maio lo capì prima di tutti. Apposta appoggiò la patata bollente nelle mani di Crimi che – sbaglia oggi, sbaglia domani – non tardò a ritrovarsi da solo: da reggente ad autoreggente. Nel frattempo, Di Maio dava un saggio della sua vera specialità:la presa della poltr.

Ricordate? Lasciato il Mise del Conte 1 per gli Esteri del Conte bis, riusciva a farsi confermare alla grande nel Draghi attuale. In questo è l’esatto contrario di Ale Di Battista, ex-gemello diverso e ora suo severo censore. Sembrano lontani anni luce i tempi in cui entrambi vagheggiavano la demolizione di Palazzo Berlaymont, sede della Commissione Ue, o s’immortalavano abbracciati ai Gilet Gialli francesi. Imbarazzi che Giggino ha superato alla grande, anche perché la sua metamorfosinon ha trovato distratti i giornali mainstream. Il Conticidio (copyright Marco Travaglio) era solo una questione di tempo e quel giovanotto in evoluzione poteva tornare utile a far scendere a più miti consigli il vanesio Giuseppi. È finita che lo ha del tutto abbandonato. Ovviamente in nome dei nuovi principi, di cui Di Maio è ora vindice e custode. Chapeau! Ci permettiamo solo di raccomandargli di non appoggiarvisi troppo. «Perché – come ammoniva LeoLonganesi – poi si piegano». E nessuno meglio di Di Maio lo sa.

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