Da Confindustria proposte propositive: “Imprese pronte ad acquistare i crediti”

«Adesso abbiamo il problema di migliaia di cantieri che rischiano di fermarsi, anche noi come industria dobbiamo assumerci le nostre responsabilità». Il presidente di Confndustria, Carlo Bonomi, intervenuto all’assemblea degli industriali di Savona, ha proposto una soluzione per uscire dall’impasse del Superbonus 110%. «Se il governo creasse le condizioni affinché si possano fare cessioni di primo grado tra privati», si potrebbe «individuare una classe di imprese», per solidità economica, che «potrebbero acquistare i crediti che ora sono fermi». Non sono mancate le critiche all’esecutivo per le «decisioni così affrettate» che hanno gettato «nel panico imprese e famiglie» alle quali solo successivamente è seguita la convocazione delle parti. Una situazione che potrebbe ripetersi con la revisione degli incentivi alle imprese che il Consiglio dei ministri affronterà domani. «Non vorrei – ha detto – che si facesse un disegno di legge quando non è ancora finita l’indagine parlamentare». Un altro fronte che si aggiunge a quello dello stop ai motori endotermici. Quella dell’Europa «di andare sull’elettrico è una scelta sbagliata che consegnando la nostra filiera dell’automotive ai produttori asiatici», ha ammonito Bonomi.

Intanto, il decreto sta per iniziare l’iter parlamentare. La settimana prossima alla Camera si svolgeranno le audizioni delle parti sociali. «Stiamo valutando la posizione di onlus e Iacp che, non potendo beneficiare delle detrazioni per la ridotta capienza fiscale, avrebbero problemi dallo stop alle cessioni introdotto dal decreto», ha dichiarato il relatore del dl Andrea de Bertoldi (FdI). «Non è escluso che si possa valutare» un periodo di transizione, ha aggiunto precisando che «ci sono già state delle richieste per spostare la data del 17 febbraio da cui scatta lo stop a cessioni e sconto».

Al di là della soluzione proposta da Forza Italia (la compensazione dei crediti d’imposta con i debiti fiscali tramite F24), la questione attiene la solidità stessa dei conti pubblici. Come osservato ieri in Senato durante un’audizione dal capo del servizio consulenza fiscale di Bankitalia, Giacomo Ricotti, «gli effetti del Superbonus sull’indebitamento netto si manifestano gradualmente, secondo la tempistica di fruizione dell’agevolazione», cioè a seconda della computazione delle rate annuali dei crediti. Gli effetti, pertanto, rischiano di dover essere contabilizzati nei prossimi anni quando il Patto di Stabilità sarà rientrato in vigore. Ecco perché Ricotti ha sostanzialmente avallato la scelta del governo. «Se le autorità statistiche maturassero la convinzione che data la possibilità di trasferire il bonus dal beneficiario iniziale a terze parti l’incentivo ha natura rimborsabile, esso sarebbe incluso nell’indebitamento netto già quando matura» la cessione del credito. Stopparlo adesso significa, pertanto, trasferire l’extradeficit agli anni precedenti 2020-2022 e a quello in corso in cui Bruxelles ha sospeso il Patto.

Una riflessione, comunque, è obbligatoria. Il centro di ricerche Nomisma ha evidenziato che il Superbonus è sì costato 71,8 miliardi di euro, ma ha generato un giro d’affari di 195,2 miliardi, dando lavoro a quasi un milione di persone e aumentando il valore degli immobili di 7 miliardi. Le famiglie hanno risparmiato 29 miliardi sulle bollette energetiche, 964 euro all’anno a nucleo. Ma, come ha sottolineato Ricotti, «anche tenendo conto delle imposte e dei contributi sociali versati a fronte dell’aumento dell’attività del settore, gli oneri della misura per il bilancio pubblico restano comunque ingenti».

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