Covid, nuova variante, il “Voc”. Colpisce i più giovani ed è più resistente

Il nuovo Covid ha una sigla anonima VOC 202012/01. Tuttavia, dietro quella sigla si nasconde un nemico invisibile e insidioso. «Il virus originale di Wuhan non c’è più, c’è questo che si diffonde molto più rapidamente e più efficacemente.Dobbiamo stare attenti». Così il professor Paolo Grossi, primario del reparto Malattie infettive dell’ospedale di Varese. La cosiddetta “variante inglese” è diventata egemone in Italia. E i dati non lasciano affatto tranquilli.

L’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità pubblicato il 30 marzo elenca numero allarmanti. Una prevalenza media dell’86,7%. “Abbiamo valori oscillanti tra le singole regioni tra il 63,3% e il 100%“. Allarmante quanto dichiara al Messaggero, il professor Massimo Andreoni, primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma: «Rileviamo non solo una maggiore trasmissibilità del virus, ma anche una maggiore severità. E vediamo persone più giovani che si ammalano. Più che parlare di una maggiore aggressività o virulenza, però, dovremmo parlare di una maggiore capacità replicativa. Questo è un problema molto serio. Nelle terapie intensive oggi ci sono cinquantenni e quarantenni».

Eppure, nel dramma causato dalla diffusione della variante inglese, c’è un paradosso. Tuttavia, che il nuovo Covid stia vincendo la competizione con la mutazione brasiliana o sudafricana è positivo. Infatti, sappiamo che l’effetto del vaccino su questa variante non è in alcun modo compromesso. «La situazione epidemica di questa terza ondata si sta caratterizzando per alcuni aspetti abbastanza peculiari», ha spiegato Il Giornale l’infettivologo di Tor Vergata, Massimo Andreoni, riferendosi alla numerosità dei casi e la rapidità con cui l’epidemia si è propagata ma anche alla severità dei casi soprattutto in soggetti più giovani.

Come se non bastasse, il nuovo Covid potrebbe avere una maggiore trasmissibilità rispetto alle altre perché questa ‘versione’ del virus rimane per più tempo nell’organismo, facendo sì che un paziente sia infettivo più a lungo. Lo suggerisce uno studio preliminare, ancora non pubblicato, dell’università di Harvard, condotto sui giocatori Nba, secondo cui l’attuale quarantena di 10 giorni non sarebbe quindi più sufficiente per limitare il virus. Una battaglia ancora dura da combattere. In attesa dei vaccini e della tanta agognata immunita di gregge.

Pubblicato da edizioni24

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