Confindustria lancia l’allarme: 582mila lavoratori a rischio per il caro energia

Il rincaro «record» del prezzo del gas raggiunto ad agosto rischia di costare all’Italia non solo una severa recessione ma la perdita di 582mila posti di lavoro. È quanto ha sottolineato il Centro studi Confindustria (CsC) nella Congiuntura flash di settembre. A causa dei tagli delle forniture dalla Russia, «la resilienza dell’industria è alle corde» e dopo mesi di impatto del caro-energia sui margini, adesso a «soffrire» saranno gli investimenti. Pertanto, denuncia Viale dell’Astronomia, «lo scenario vira al ribasso», peggiorato da un’inflazione altrettanto «record» che «erode il reddito delle famiglie e minaccia i consumi, protetti (in parte e non per molto ancora) dal risparmio accumulato. La Bce ha risposto a prezzi elevati ed euro debole alzando i tassi, che daranno un ulteriore impulso recessivo, come confermato ieri dal capo economista di Francoforte, Philip Lane.

In particolare, il CsC ha effettuato due simulazioni per il prezzo del gas, rispettivamente a 235 euro/megawattora da qui a fine 2023 e ai 298 euro indicati dai futures. «L’impatto per l’economia italiana (rispetto a uno scenario di base in cui il prezzo del gas è tenuto fermo alla media dei primi 6 mesi del 2022: 99 euro) è stimato in una minore crescita del Pil del 2,2% e del 3,2% cumulati nel biennio 2022-2023, nei due scenari, e in 383mila e 582mila occupati in meno», si legge in Congiuntura flash. Nel conto vanno messe anche le avvisaglie, partite dal salvataggio di Stato della tedesca Uniper, di un possibile terremoto finanziario per le utility, che fronteggiano potenziali crisi di liquidità di fronte a garanzie sempre più alte sui contratti derivati con cui si assicurano contro la volatilità dei prezzi. Secondo il Centro studi di Viale dell’Astronomia, se i flussi da Russia si fermassero del tutto «l’Italia e gli altri Paesi europei potrebbero avere problemi anche sui volumi».

Una carenza di gas molto inferiore a quanto stimato prima dell’estate ma comunque «significativa» e pari a 10,9 miliardi di metri cubi tra quarto trimestre 2022 e primo trimestre 2023. Usando la riserva strategica si arriverebbe a un gap di 6,4 miliardi di metri cubi, comunque in grado di «avere un impatto rilevante» sull’industria italiana e causare «chiusure e calo del valore aggiunto». Sarà d’aiuto la riduzione dei consumi di energia per raffreddamento e riscaldamento che «potrebbe quasi annullare la carenza di gas», conclude il report.

«Servono allora interventi regolatori: destinare parte dell’elettricità prodotta dalle rinnovabili alle imprese, a un prezzo fisso e più moderato; riformare il mercato elettrico, sganciando il prezzo dell’elettricità da quello del gas; imporre un tetto Ue al prezzo del gas in Europa, per agire direttamente sul cuore della crisi», fa notare il CsC, rimarcando come non sia sostenibile finanziariamente una prosecuzione a lungo termine dell’attuale politica di sussidi a consumatori e imprese. Una circostanza che sia il premier Mario Draghi che il premier Daniele Franco hanno ben presente visto che tra poco meno di dieci giorni dovranno presentare la Nadef. In uno scenario di recessione la necessità di maggiori uscite per sostenere l’economia si scontrerebbe con minori entrate fiscali, mettendo a rischio l’obiettivo del Def di un calo del deficit al 3,9% del Pil. La recessione, inoltre, comprometterebbe la traiettoria discendente del debito che potrebbe risalire sopra la soglia del 150% del Pil.

Di diverso avviso l’Ufficio studi della Cgia di Mestre secondo cui il nuovo governo dovrebbe farsi carico di un’ulteriore spesa di 35 miliardi di euro per contrastare il caro-energia. In caso contrario, affermano gli artigiani mestrini, è concreto il rischio che moltissime imprese e altrettante famiglie non siano nelle condizioni di pagare le bollette. I 35 miliardi di euro sono stati calcolati come differenza tra i rincari energetici del 2022 (127,4 miliardi di euro) e i 58,8 miliardi di sostegni fin qui erogati dal governo Draghi per contrastare il caro bollette. Senza garantire almeno la metà di tale importo (cioè 35 dei 70 miliardi), il Paese potrebbe «collassare».

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