[ITH24] Caso Genovese, Gaetano Daniele: “La via più facile, di solito, si rivela sempre la più minata. 20 ore di stupro. Responsabilizzare le ragazze di oggi è un dovere”

By Gaetano Daniele

“20 ore di stupro”. Questo è il quadro orribile che emerge dal caso Genovese che ha gettato il mondo femminile e non solo sotto choc. “Voglio un mondo all’altezza dei miei sogni” diceva una delle ragazze che prendeva parte ai party di Genovese. Solo che quei sogni col tempo si sono rivelati veri e propri incubi.

“Noi di ith24 vogliamo responsabilizzare attraverso questo post le ragazze dallo stare attente da certi ambienti”, Molte ragazze cercano il successo e la popolarità attraverso personaggi, a volte ben radicati nel tessuto sociale. La vicenda ormai nota vede l’imprenditore, nonché fondatore di Facile.it, in carcere con pesanti accuse dopo lo stupro avvenuto nella sua abitazione di Milano ai danni di una giovane modella e in occasione di una festa tutta a base di droga. Addirittura venivano messe delle sostanze nei loro bicchieri per farle perdere lucidità. Una roba mostruosa.

Se fosse solo un’indagine per stupro, si sarebbe già chiusa con un giudizio immediato: anche perché la violenza diAlberto Maria Genovese contro una vittima diciottenne è stata filmata da 19 telecamere per 20 ore totali di registrazione ciascuna, forse un record mondiale. Invece c’è tutta una certa Milano al vaglio degli inquirenti: perché un tempo, una trentina di anni fa, la cocaina era sì intesa come «droga dei ricchi», ma oggi le cose sono cambiate. La cocaina è ovunque, venduta anche a dosi minimali a cocainomani che interagiscono con noi, perché la prende il chirurgo, il pilota, l’investitore dei nostri soldi, la maestra dei nostri figli, magari i nostri figli. Insomma persone insospettabili.

Ma la droga dei ricchi esiste ancora, ed è un’industria che interviene secondo format di consumo consolidati: ci si veste in un certo modo, si ha una certa auto, si appartiene a un certo ambiente e si hanno certe sostanze da consumare. Il mercato della droga è in grado di incidere sulle scelte di vita: e i consumatori, persone informate, in virtù di questo imprinting si illudono di aver fatto una scelta.

Ma la droga di cui si parla in questa indagine non si trova dal piccolo pusher dei giardinetti, ed è evidente che, se i magistrati hanno impiegato un mese per arrestare Genovese, o a indagare altri, è perché volevano seguirne i movimenti, individuare consumi e quantità. I cosiddetti atteggiamenti dei soggetti e le finalità.


Se fosse solo un’indagine per stupro, poi, parleremmo solo di un atto sessuale non condiviso dalla volontà di due soggetti: invece è stata una feroce somma di meticolose torture, orrende sevizie con modalità e strumenti già predisposti in una stanza «padronale» adibita allo scopo. Scendere nei raccapriccianti particolari equivarrebbe a infierire sulla vittima, e lo sarebbe anche il riportare lo spaventoso resoconto della clinica Mangiagalli di Milano: laddove il medico legale, dopo una perizia sulla diciottenne, ha tenuto a dichiarare che «riguardo alle lesioni, posso dire che, nonostante io lavori qui da diverso tempo, non mi era mai capitato di vedere qualcosa di così cruento». E pure Genovese appariva uno come tanti, bell’aspetto, auto di lusso. Tutto sommato anche una scorciatoia vista da certe ragazze che cercano di inseguire falsi miti pur di raggiungere l’Olimpo dei grandi. “Guarda dove sono”. “Vedi a chi mi approccio”. “Guarda con chi esco”. Insomma apparire agli occhi degli altri un qualcosa di diverso, superiore. Quell’apparire, quelle scorciatoie a volte si possono rivelare fanali, come nel caso in oggetto. Anche se non bisogna generalizzare e non bisogna fare di tutta un’erba un fascio.

Noi ci ossequiamo ovviamente alla legge sulla privacy: ma il trasgredirla, per una volta, non sarebbe morbosità, sarebbe l’unico modo di far intendere l’evidente differenza tra una violenza «semplice» (si fa per dire) e una tortura dolosa che implica malvagità; la differenza, ossia, tra un impossibile raptus e un qualcosa che invece è stato perpetrato con studiata lucidità per circa venti ore, e questo con una crudeltà che nessuna droga al mondo può crearti dal nulla, se non ce l’hai celata nelle viscere.

Tuttavia c’è chi sta lavorando per ridimensionare e banalizzare il caso Genovese, perché il potere dei soldi può questo e altro. Ma per comprenderlo tocca ricominciare da quel giorno d’autunno. Sabato 10 ottobre, mattina. Lei ha compiuto 18 anni in aprile ed è una giovane modella italiana che lavora in un’agenzia di Milano, e si chiama A. In mattinata chiama l’amica D., altra modella, e le dice che alla festa di Genovese verrà anche lei: poi magari andranno assieme all’altra festa di compleanno fissata per le 23. C’era un’autentica lista d’attesa, per i «party privati» di Alberto Genovese: un uomo passato, in un giorno, dall’avere 100mila euro ad avere cento milioni. D. era stata invitata da Daniele Leali, detto Danny, suo grande amico e organizzatore della Milano notturna, poi additato come procuratore di ragazze più che altro perché aveva moltissime conoscenze: raccoglieva le adesioni in una chat di sedici amici e a questa organizzazione non era estranea l’ex fidanzata di Genovese,Sarah Borruso, poi indagata per complicità in altre violenze. Lei però quella sera non c’era, era da sua madre. Aveva bisticciato con Alberto. I ricchi a volte son così, a come gli gira. Difficile che si affezionano ai valori che contano.


Ore 16. D. è al festino già dal pomeriggio e con lei c’è un’amica. La festa è perlopiù nell’attico all’ultimo piano, dove c’è la piscina a sfioro e la «terrazza sentimento» con tanto di scritta in neon rosso. Genovese, per ben due volte, invita D. al piano di sotto (dove c’è la camera da letto) a tirare una riga di cocaina. L’aveva già fatto con altre, non estendeva l’invito agli uomini. «Ma con me non ci fu problema», ha raccontato D., che pure, tramite la sua amica, aveva saputo «che girano voci su Genovese si dice che lui e la sua ex fidanzata, Sarah, erano soliti drogare le ragazze alle loro feste private, per poi violentarle». L’amica le aveva detto che, secondo le voci che circolavano, Genovese si portava le ragazze in camera per indurle a prendere involontariamente la droga dello stupro (Ghb) per poi abusarne personalmente o farlo fare ad altri. La stessa amica però le aveva raccomandato solo di stare attenta, di stare vicino a Daniele Leali: «Il mio pensiero», dirà D., «è che se una ragazza accetta di andare con Genovese lo faccia per soldi, ma è una mia supposizione». Ore 20.30. La festa prosegue quando in Piazza Beltrade arriva anche la diciottenne A. assieme a M., altra modella. Una cerchia di ragazze che mirava alto.

Si presentano all’ingresso del palazzo dove un buttafuori controlla gli invitati. I cellulari in effetti vengono ritirati. La 18enne A. ed M. salgono con l’ascensore, che richiede un codice, sino all’attico e superattico: questa volta è una cosa più riservata, non c’era il catering a cura di Carlo Cracco come in settembre, o i fiumi di pessimo champagne Perrier-Jouet che all’occorrenza Genovese allungava con ketamina o Ghb se prendeva di mira una singola ragazza: la quale, in pratica, era forzata a bere a canna. C’erano, vicino al bar interno, dei piatti a disposizione. In uno c’era cocaina, ketamina e 2cb. Brevemente: la cocaina è un eccitante che rende megalomani e prepotentemente lucidi. La ketamina è un anestetico che ben si accompagna alla cocaina, neutralizzando l’ansia e l’iper-eccitazione, e che da sola può stenderti e renderti completamente passiva; si può sciogliere facilmente in liquidi. La cocaina rosada 2cb (rosa) è sintetica e non c’entra niente con la cocaina, e, secondo dosaggio, rende allucinati, molto consapevoli e piuttosto allegri; costa un botto, 500 euro al grammo.


In ogni caso la diciottenne A., con l’amica M., sniffa cocaina e 2cb come aveva fatto altre volte. Le ragazze, soprattutto le modelle, spesso amano drogarsi soprattutto se è gratis. Un’altra modella straniera, amica di Genovese, ha raccontato: «C’erano due piatti a disposizione per tutti, li portava Daniele Leali vicino al bar. In uno c’era la cosiddetta Kalvin Klein, ketamina mischiata con cocaina. Ho visto sniffare tutti quelli che conoscevo». Ore 22 circa. La diciottenne A., l’amica M. più un’altra decidono che s’ è fatta una certa e potrebbero anche andarsene all’altra festa. Ma Genovese non ne vuole sapere. Qui comincia a far di tutto «in maniera ossessiva» per trattenere A. Genovese, che s’ è preso una fissa per A., se ne dice innamorato, le propone un viaggio, non la molla più. A un certo punto escono sul terrazzo a fumare: lui, A. e M. Bevono un drink. Genovese comincia a offrirle cocaina che in realtà è solo ketamina (l’anestetico) e le telecamere mostrano un piatto da cui lui non attinge. Si sente anche la voce di lui: «Ketamina la migliore del mondo».

Lei tira con una cannuccia. A un certo punto M. si allontana, perché vuole telefonare agli amici del compleanno e dir loro che ritarderanno alla festa. Poco più tardi torna sul terrazzo, ma l’amica non c’è più, e neanche Genovese. È da qui che la diciottenne non ricorda praticamente più nulla. Non ricorda, per dire, di essere entrata nella stanza da letto al piano di sotto. È molto probabile che sul terrazzo il suo prossimo torturatore le abbia dato del Ghb, la famosa «droga dello stupro» (non l’unica) che quella sera non fa certo parte delle sostanze offerte a tutti. Ha il nome commerciale di Alcover e ha lo stesso effetto dell’alcol, ma moltiplicato (viene usato nelle terapie per l’alcolismo) e a quanto pare, a certe dosi, ti rende inconsapevole, voglioso di sesso e poi, per qualche ora, non ti fa ricordare più nulla; è indistinguibile quando disciolto in soft drink o alcolici vari. In pratica impedisce la fissazione del ricordo e anche la sua rielaborazione. Le telecamere la inquadrano che comincia a rallentarsi, lei è in camera – il bodyguard sorveglia la porta, da fuori – e resiste ai primi tentativi di toccarla e spogliarla, ma le reazioni sfumano, sta scivolando in uno stato di incoscienza. Dirà di aver avuto la percezione che ci fossero altre persone ma c’era solo Genovese.



Ballano per pochi secondi, poi si spostano sul letto, lei tenta di opporsi e rivestirsi, ma è qui che comincia – l’espressione è nell’ordinanza d’arresto – «il calvario». Il quale non è sostanzialmente riportabile, se non nella sua insistenza ossessiva e maniacale, nella sua pervicacia, durata, cattiveria, ausilio di una non citabile attrezzatura di tortura. Il Ghb l’ha stesa, ha cancellato il presente e il prossimo futuro: la ketamina, spacciata per cocaina e fatta assumere anche a forza coi metodi più osceni, la metterà in uno stato di narcosi e neutralizzerà il dolore che lui le infliggerà per ore. Ore 22.30. L’amica D. scende verso la camera da letto («ricordo di aver avuto una brutta sensazione») ma il bodyguard la blocca. Lei gli dice che l’amica deve venire via con lei, ma la risposta è che non è possibile disturbarli. Anche un’ora dopo il buttafuori è irremovibile. Ore 23.58. Scambio di messaggi tra Danny Leali e Genovese: «Albi? Andiamo via tutti. Che vuoi fare?».

Risposta: «Io scopo con questa». Leali: «Andiamo allora. Spento tutto». Ore 00.22 di domenica 11 ottobre. La casa si svuota e anche le due amiche, D. e M., vanno alla loro festa di compleanno. È rimasto il buttafuori, l’assistente e i camerieri che stanno pulendo. Poco più tardi, all’altra festa, D. si dice preoccupata, ma M. sdrammatizza e dice che la ragazza sa il fatto suo. Ore 01.40. Lei in realtà non percepisce neanche la realtà. È come paralizzata. Genovese la muove come un manichino, e, come farà per una ventina di ore totali, la droga regolarmente e continuamente. È come una bambola di pezza. Sul comodino sinistro c’è la ketamina che lui le somministra con forza e sadismo, da un piatto più scuro sniffa solo lui.


Ore 02.34. Sul lenzuolo cominciano e vedersi macchie di sangue. Lui prosegue. Ogni volta che lei emette un impercettibile lamento lui la droga, seviziandola. La fotografa col cellulare in pose umilianti. Poi ricomincia, fa danni strazianti, non smette né lo farà, s’ inventa nuovi strumenti di tortura. Non ha limiti. Ore 07.01. Lei tenta di alzarsi ma non riesce a stare in piedi, ogni volta si rispegne, meglio, la rispegne lui. E continua, sempre più cruento, impazzito, insaziabile, morboso, malato. Quando lei sembra vagamente riaversi, lui prende delle manette e le lega mani e piedi, e con una cravatta la blocca allo spigolo del letto. Lui le preme un cuscino sulla faccia per otto secondi. Poi si inginocchia accanto a lei e la guarda. Scatta altre foto mortificanti. Lei implora, ma, per lui, è come se non esistesse. Poi lei comincia a gridare dal dolore. Ore 16.00.

Le toglie le manette, ormai è pomeriggio. Genovese rientra nella stanza, apre le finestre e le dice «devi andare via». È irritato, mima anche delle percosse. Lei cerca di rivestirsi per andarsene, ma, dopo che si è infilata dei pantaloni, lui la rispoglia. E ricomincia. Ore 17.00. Lei rinviene, ed è il primo momento di cui, dopo ore, avrà memoria. Il letto è di nuovo sporco di sangue. Di lì in poi cercherà di andarsene, ma impiegherà cinque ore. Perché lui è un mostro: e nessun risarcimento milionario prima del processo, nessun diabolico cambio di avvocato, nessuna cedevolezza psicologica di lei – che non ha rinnegato l’uso di droghe, ma ha rifiutato il ricovero per curarsi – impediranno di dimostrare che mostro resta.

Pubblicato da edizioni24

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