Black Cube, dal Mossad allo Shin: quando il vero “spionaggio” diventa un affare

Spiare equivale a pedinare possibili gole profonde, orecchiare potenziali trame destabilizzative e prevenire verosimili congiure di palazzo. Spiare è un imperativo dettato dalla raison d’Etat, un obbligo dal quale dipendono l’integrità e la sopravvivenza dell’ordine costituito. Spiare può significare salvare vite, sventare complotti e trovare prove con cui incastrare dei pericoli vaganti per la sicurezza nazionale.

Spiare, in breve, non è per tutti. Perché lo spionaggio è un’arte e, in quanto tale, occorrono delle doti fuori dal comune per uscire dall’amatorialità ed entrare nel professionalismo. E tra coloro che incarnano al meglio lo spirito di quest’arte di nicchia, trasformando tallonamenti e camuffamenti in capolavori dell’inganno, figurano gli agenti di Black Cube, l’agenzia di intelligence privata più importante (e influente) del pianeta.

Black Cube, abbreviazione di Black Cube Strategy Ltd, è una compagnia di intelligence privata la cui sede centrale si trova a Tel Aviv, Israele, e che possiede degli uffici a Londra e Madrid. Costituita nel 2010 dagli ex agenti segreti israeliani Dan Zorella e Avi Yanus, l’agenzia è composta da spie che si sono formate nel Mossad e nello Shin Bet, indi altamente preparate, ed è specializzata nella conduzione di indagini su casi di corruzione, riciclaggio di denaro sporco e crimini dei colletti bianchi.

Il Cubo nero nasce con un obiettivo: rivoluzionare (per sempre) il mondo di fare intelligence, mettendo i cervelli più dotati del pianeta al servizio di tutti quei privati che sono in grado di pagarne i servizi. Perché gli agenti del Cubo nero, invero, spesso e volentieri agiscono su mandato di grandi imprenditori, banchieri e uomini di potere, pur non disdegnando le commesse provenienti dai governi – noto è il fatto, ad esempio, che all’agenzia si rivolga periodicamente il Ministero della Difesa di Israele.

Quel che distingue il Cubo nero dalla concorrenza in quel mercato in espansione che è l’intelligence privata è la sua stessa e veridica natura. Non vi lavorano analisti con alle spalle esperienze lavorative in università e think tank, ma specialisti provenienti dalle unità d’eccellenza dei servizi segreti israeliani. Non ha una clientela vasta ed eterogenea, ma serve una platea ristretta ed esclusiva, formata più che altro da corporazioni multinazionali, miliardari e governi. E non impiega metodi di spionaggio tradizionali, come i pedinamenti e le intercettazioni ambientali, ma agisce nel mondo come se fosse il Mossad privato, facendo ricorso a sorveglianza approfondita, hackeraggi e ad altri strumenti eterodossi.

Sfrontati e valenti, perché formatisi combattendo terrorismo e minacce ibride, gli 007 del Cubo nero hanno costruito la loro fama sul loro essere unici, consapevoli del fatto che non v’è miglior pubblicità della cattiva pubblicità. Ragione, quest’ultima, che spiega perché il loro successo sia cresciuto di pari passo con gli scandali: dall’arresto di due agenti in Romania per un dossieraggio illegale ai danni dell’incorruttibile pubblico ministero Laura Kodruța Kovesi alle varie attività svolte per conto di Harvey Weinstein, tra le quali la distruzione della reputazione di alcune vittime e le pressioni sulla grande stampa.

Sarebbe erroneo credere, però, che il Cubo nero serva solo e soltanto gli interessi di loschi figuri. L’agenzia, molto più semplicemente, si limita a rispondere alle richieste di aiuto ricevute, accettandole o declinandole a seconda della ricompensa offerta. Non politica, ma affari. E non immoralità, ma amoralità. Perché lo spionaggio, hanno compreso gli arguti ex Mossad, può essere un mercato come un altro.

Innumerevoli e in crescita sono i grandi casi di corruzione e crimini dei colletti bianchi che gli agenti del Cubo nero hanno contribuito a smascherare, trovando le prove necessarie agli inquirenti per assicurare i rei alla giustizia. E nel novero dei casi sensibili trattati dalle spie del Cubo nero, trecento dal 2010 al 2019, figurano l’AmTrust vs. Antonio Somma – un caso di tangenti, corruzione e clientelismo da due miliardi di euro –, la Bank Hapoalim vs. Motti Zisser e una Mafiopoli a Panama.

Una cosa è certa: il mondo dello spionaggio non è più lo stesso da quando è entrato in scena il Cubo nero, i cui agenti operano notte e giorno, instancabilmente e senza sosta, tanto per assicurare alla giustizia dei pericolosi criminali quanto per difendere gli interessi dei grandi privati, anche se moralmente ambigui e biasimevoli. Perché a contare non è più la ragione di Stato, ma la ragione del denaro, perciò chiunque può essere difeso – a patto che versi un tributo adeguato –, al di là della nazionalità e dei servigi richiesti.

Black Cube, similmente a Blackwater, è la manifestazione provante e lapalissiana di un mondo, quello incardinato sugli attori statuali e sorto dalle ceneri di Vestfalia, che va lentamente disgregandosi e medievalizzandosi. E l’ordine che va emergendo sarà radicalmente differente da quello passato: privati pagheranno altri privati per combattere un pubblico sempre più debole. Quest’ordine, di cui Black Cube costituisce l’emblema, non apparterrà agli Stati, ma ai nuovi feudatari.

Pubblicato da edizioni24

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