Strazio e lacrime dei familiari al passaggio del carro funebre con la bara del corpo della piccola Elena il cui cadavere è stato trovato stamani vicino la casa della famiglia, a Mascalucia, nel catanese. Il nonno paterno ha seguito il carro funebre, appoggiandovi la mano, per diversi metri urlando «Angelo mio, Angelo mio». Nella giornata del ritrovamento del corpo di Elena, la bambina uccisa a Catania, che avrebbe compiuto 5 anni a luglio, il dolore si unisce alla choc, e genera una miscela incontenibile di rabbia e sconcerto.
I carabinieri di Catania hanno risentito anche nel pomeriggio, per l’ennesima volta nelle ultime 24 ore, la madre della piccola Elena. La donna stamani ha indicato il luogo dove si trovava il corpo senza vita della figlia: nelle campagne di Mascalucia, nel Catanese. A due passi dalla loro abitazione. Le domande incalzanti, quelle risposte confuse e sembra in alcuni momenti anche contraddittorie, hanno fatto crollare la donna, ora ufficialmente fermata per omicidio pluriaggravato e occultamento cadavere.
Si, perché a quanto si apprende dalle indagini, la piccola Elena, 5 anni da compiere il prossimo luglio, sarebbe stata uccisa dalla madre nella sua abitazione di Mascalucia. La mamma 23enne avrebbe poi portato e nascosto il corpicino della piccola in un vicino terreno di campagna nel tentativo di coprire il cadavere con terra e cenere lavica. Un orrore deflagrato all’improvviso, che Martina Patti confessa e ricostruisce a carabinieri e Procura di Catania, raccontando di avere ucciso la figlia dopo averla presa all’asilo, mentre era sola in casa.
Interrogatori e riscontri portano a quell’angolo desolato di campagna etnea dove il corpicino di Elena giaceva senza vita. Martina Patti, 23 anni, è crollata e ammette: è lei l’omicida di sua figlia. Nessun uomo incappucciato e armato gliel’ha portata via. La donna ha confessato e confermato ai carabinieri ed alla Procura etnea di avere assassinato la sua bambina. Eppure, nell’ennesimo interrogatorio – da poco concluso – ammettendo il delitto, la donna non avrebbe ancora spiegato come e perché avrebbe ucciso.
Gli psichiatri, commentando la tragedia di Catania, parlando di «figlicidio» come di un «cortocircuito. Il più drammatico che può accadere nella mente di un essere umano, in particolar modo di un essere umano di sesso femminile, di una madre». Aggiungendo che «è sempre bene dire che di solito queste vicende non avvengono mai per caso. Mai da un minuto all’altro, mai senza nessuna indicazione pregressa». E di avvisaglie, forse, in questa terribile vicenda, ce ne erano state, anche se occultate e mimetizzate in una realtà sociale, familiare e piscologica della madre killer, difficile da cogliere e codificare nel modo giusto.
Ed è proprio su questo punto che le parole dei nonni e della zia paterna della piccola vittima servono a fare luce nel buio di tanto orrore. «Elena era una bimba meravigliosa. Avevamo creduto alla storia degli uomini incappucciati. Non avevamo ragione di non credere», ha affermato oggi Rosaria Testa, nonna paterna della bambina, nel luogo del ritrovamento del corpo della nipotina. E ancora: «Quando i genitori hanno litigato la piccola non voleva andare via da casa». Eppure, prosegue la donna, «un giorno la mamma le stava dando botte, e noi gliela abbiamo dovuta togliere dalle mani».
Incredulo anche il nonno paterno di Elena, Giovanni del Pozzo. «Non capiamo come sia stata possibile una cosa del genere. Il rapimento era impensabile, chi poteva immaginare quanto avvenuto? Sembra tutto molto strano – aggiunge –. La madre era un tipo molto chiuso. Adesso – conclude l’uomo distrutto dal dolore – chi è stato a compiere un gesto del genere deve pagare. Così come chi, eventualmente, l’avesse aiutata».
Anche la zia della piccola Elena parla. E nel dolore, Martina Vanessa Del Pozzo prova a individuare un perché. Forse, addirittura un possibile movente di questo terribile delitto. «Martina Patti voleva incastrare mio fratello –racconta la donna –. Un anno fa mio fratello fu accusato ingiustamente di una rapina ma fortunatamente fu scagionato completamente. Quando dal carcere passò ai domiciliari, sotto casa trovammo un biglietto di minacce con scritto: “Non fare lo sbirro, attento a quello che fai”. Mio fratello non sa nulla di nulla». Ma, aggiunge la donna, «a questo biglietto la madre della bimba ha fatto riferimento dicendo che avevano rapito Elena».
«La madre – conclude la zia di Elena – disse che quelle persone incappucciate avevano fatto riferimento al biglietto dicendo: “Non ti è bastato il biglietto? Digli a tuo marito che questa è l’ultima cosa che fa: a sua figlia la trova morta». Poi, però, si scoprirà tragicamente che a stroncare la giovanissima vita della piccola Elena non sono stati né criminali in vena di vendetta, né uomini incappucciati e armati. Ma la mano della persona che, più di tutti, avrebbe dovuto proteggerla…