Biden firma la pace sui dazi. L’Italia sblocca 800 milioni di export

Dal vertice G20 di Roma arriva il colpo di piccone al protezionismo targato Trump. I tempi cambiano, e Joe Biden (in foto) scodella, di concerto con l’Unione europea, l’accordo che mette fine ai dazi imposti da Washington su acciaio (25%) e alluminio (10%), nonché alle misure di ritorsione decise da Bruxelles su alcune icone del made in Usa, come le motociclette Harley Davidson e i jeans Levi’s. L’intesa dovrebbe liberare dai lacci tariffari 6,4 miliardi di euro di esportazioni di acciaio colpite dalle misure introdotte nel 2018, quando The Donald inasprì lo scontro commerciale già aperto con la disputa pluriennale Airbus-Boeing.

A conti fatti, il patto rimuoverà anche circa 3,5 miliardi che sarebbero finiti nelle tagliole daziarie europee a partire dal prossimo primo dicembre. Per l’Italia, quinto esportatore di acciaio verso gli Stati Uniti, è un sollievo che equivale a circa 800 milioni di euro di export non soggetti a barriere tariffarie.

L’aridità delle cifre fa il paio, come spesso si conviene in questi casi, con la grancassa retorica. Non la suona il premier Mario Draghi, che in modo asciutto si auspica che «questo accordo sia un primo passo verso un’ulteriore apertura degli scambi tra Ue e Stati Uniti, per favorire la crescita di entrambe le economie»; fatica a tenerla in sordina la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che definisce l’agreement «un’iniziativa chiave per l’agenda transatlantica»; la percuote senza troppi problema Biden che parla di «pietra miliare» nei rapporti fra le due sponde dell’Atlantico. Sembra insomma essersi sciolto il gelo creato dopo lo scippo alla Francia, da parte degli Usa, di una commessa miliardaria per la fornitura di sottomarini all’Australia.

La Casa Bianca ha del resto tutto l’interesse a non esacerbare i rapporti con l’Europa, in un momento in cui le relazioni con la Cina si sono fatte complicate. Anche sul versante commerciale. Pechino, in base alle analisi del Peterson Institute for International Economics, non starebbe rispettando gli accordi di Fase Uno con cui, nel gennaio del 2020, l’America e il Dragone avevano posto le fondamenta per arrivare alla totale rimozione di tutta la pletora di inasprimenti tariffari accumulata durante la trade war scatenata da Trump e dal presidente cinese, Xi Jinping. L’abbozzo di pacificazione prevedeva che, tra l’altro, l’ex Impero Celeste comprasse circa 200 miliardi di dollari di beni e servizi statunitensi nel biennio 2020-21. Al momento, i dati commerciali mostrano che la Cina ha acquistato solo il 62% dei beni statunitensi previsti dall’intesa. All’appello mancano, quindi, oltre 120 miliardi di acquisti. Se la crisi provocata dal coronavirus rappresenta un buon alibi, anche i non buoni rapporti fra Biden e Pechino potrebbero aver avuto un ruolo nel mancato rispetto del ruolino di marcia.

Con l’Europa, invece, la situazione era già migliorata a metà dello scorso mese di giugno in seguito alla sospensione per 5 anni di tutti gli 11,5 miliardi di dazi legati al contenzioso Airbus-Boeing, di cui 7,5 miliardi sulle esportazioni europee. Pur non avendo mai fatto parte del consorzio aerospaziale di matrice europea, pure l’Italia aveva subìto danni a causa delle ritorsioni statunitensi, valutabili nel solo settore agroalimentare attorno al mezzo miliardo di euro. Anche ora che tutti i paletti divisisi introdotti da Trump sembrano esser stati rimossi, resta comunque del lavoro da fare. «Nei prossimi due anni – ha spiegato il vicepresidente della Commissione Ue e commissario al Commercio,Valdis Dombrovskis – , lavoreremo per un accordo globale sull’acciaio, che ci consentirebbe di eliminare definitivamente 232 dazi». Il nodo, non facile da sciogliere, sarà quello legato alla sovracapacità siderurgica globale.

Pubblicato da edizioni24

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