“Basta botte a scuola: multe ai violenti. E col 6 in condotta si viene rimandati”. Zurlo intervista Valditara

Intervista a cura di Stefano Zurlo

Ci siamo. «Finalmente oggi il Parlamento – dichiara soddisfatto il ministro dell’Istruzione Beppe Valditara- approva la legge sulla condotta». La legge che porta il nome del ministro. «E già in questo anno scolastico- prosegue Valditara- si vedranno le prime applicazioni».

Voto in condotta non più Cenerentola. Giudizio alle elementari che torna alla tradizione. Sanzioni pecuniarie per chi aggredisce un docente. L’educazione civica che diventa una pianta alta e frondosa. Ministro, da dove cominciamo?

«Dalle elementari. Oggi c’è il giudizio analitico che rimarrà ma verrà semplificato e poi c’è quello sintetico su cui siamo intervenuti».

Perché?

«Perché spesso questi giudizi sono criptici, del tipo ‘in via di prima acquisizione’. Ora si torna a formule che fanno chiarezza e aiutano gli alunni a capire e quindi a maturare».

Quali formule?

«Quelle racchiuse in un aggettivo: ottimo, buono, sufficiente, insufficiente. Così non ci saranno più equivoci e fraintendimenti».

Il voto in condotta?

«Aveva perso appeal, ma noi lo rilanciamo. Non avrà più un valore simbolico, ma col sei si verrà ‘rimandati’ a settembre e si sosterrà una prova per riparare. E di pari passo la condotta inciderà anche sul voto finale alla maturità. Credo che tutto questo porterà il ragazzo a comprendere e rafforzare il suo senso di appartenenza alla comunità, in definitiva il suo senso di responsabilità. La stessa cosa accadrà con le sanzioni pecuniarie».

Di che si tratta?

«Parliamo delle aggressioni fisiche. Spintoni. Schiaffi. Qualche volta pugni, in vertiginoso aumento. Spesso a far andare le mani non sono i ragazzi ma i loro genitori che ritengono di risolvere con la forza i problemi con la scuola e i docenti. Bene, d’ora in poi questi comportamenti saranno sanzionati con multe comprese fra i 500 e i 10 mila euro. Ad essere risarcita sarà la scuola che ha subito un grave danno di immagine. E i soldi verranno impiegati per comprare materiale di laboratorio o strumentazioni per la didattica».

C’è poi il capitolo che lei chiama della cittadinanza solidale. In soldoni?

«Oggi chi viene sospeso resta a casa qualche giorno e tutto finisce lì».

Domani?

«Valutiamo le situazioni in base alla loro gravità. Se sospeso per due giorni, lo studente dovrà studiare di più e svolgere un elaborato per comprendere il perché ha sbagliato tenendo un comportamento violento».

Sopra le 48 ore?

«Siamo alla cittadinanza solidale. Il ragazzo svolgerà obbligatoriamente attività di solidarietà in un ospedale, o in una casa di riposo, o comunque si metterà a servizio dei più deboli. La destinazione sarà scelta sulla base di un elenco di centri convenzionati».

Qualcuno criticherà: lei sviluppa una concezione muscolare della scuola.

«Per niente. Affermiamo ancora una volta il rispetto, la dignità, la responsabilità. E facciamo capire a tutti che la violazione delle regole di condotta ha delle conseguenze. Non può essere che ciascuno faccia come gli pare. Bisogna attenersi a codici di comportamento condivisi. Mi pare l’abc».

Lei ha deciso di togliere da qualche polveroso cassetto anche l’educazione civica. Sicuro di vincere questa scommessa?

«Partiamo e siamo fiduciosi: siamo alla vigilia di una piccola rivoluzione».

Addirittura? Non è un po’ troppo ottimista?

«Anzitutto le 33 ore l’anno previste dalla legge del 2019 saranno destinate alle educazioni che riguardano sette aspetti importanti nella società di oggi: pensiamo all’educazione stradale e all’educazione alla salute che comprende quella alimentare, alla educazione ambientale e alla educazione finanziaria. Ma non basta: poi ci saranno i valori costituzionali a innervare tutti i curricola, cioè i ‘programmi’. Pensiamo alla responsabilità individuale e non più solo sociale, come andava di moda nel passato scaricando le colpe individuali sulla collettività. O al riconoscimento dell’iniziativa economica privata, che serve a creare ricchezza e quindi a combattere la povertà, alla centralità del lavoro, come grande valore sociale. E poi la patria: l’appartenenza alla patria è un valore costituzionale, dà un’identità ed è decisiva oggi per costruire una società inclusiva. Voglio aggiungere un’ultima notazione».

Quale?

«Quest’estate la Cgil aveva lanciato l’allarme paventando un numero spropositato, mai visto, di docenti precari: 250 mila».

E come è andata?

«Sono 153 mila, addirittura meno di quelli degli anni passati. Però è arrivato il momento di affrontare seriamente il problema del precariato, cosa che non è stata fatta dai precedenti governi, per garantire innanzitutto continuità didattica agli studenti e dare certezze lavorative a chi ha i requisiti».

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