Ankara, le novità sul drone turco che cambia gli scenari di guerra in Libia

La guerra in Libia si caratterizza per un nuovo oscuro traguardo. Secondo un rapporto Onu di marzo 2021 e riportato in questi giorni dalla rivista New Scientist, nel marzo del 2020 le forze del Gna coadiuvate da quelle di Ankara avrebbero usato un drone di fabbricazione turca completamente autonomo per colpire le forze di Khalifa Haftar.

Il rapporto delle Nazioni Unite fa riferimento a quello che viene definito un “ombrello” delle forze turche su tutta la costa occidentale della Libia durante la controffensiva di Fayez al Sarraj contro le milizie di Bengasi. Erano i giorni di fine marzo e Tripli aveva varato quella che sarebbe passata alla storia come l’operazione “Tempesta di pace”.

Secondo l’Onu, le forze turche hanno costituito una vera e propria bolla che ha reso impossibile colpire i combattenti del governo di unità nazionale. “La combinazione delle fregate di classe Gabya e dei sistemi di difesa aerea a corto raggio Korkut – scrive il documento del Palazzo di Vetro – ha fornito la capacità di posizionare una bolla di difesa aerea mobile attorno alle unità di terra del Gna”, eliminando in questo modo le forze aeree del generale Haftar e degli alleasti dell’Esercito nazionale libico. Il documento aggiunge che il supporto turco è stato dato anche mediante i sistemi Firtina T155 e il lanciamissili T-122 Sakarya. Ma quello su cui punta in particolare l’Onu è l’impiego dei droni da parte della Turchia, in particolare i Bayraktar TB-2, i TAI Anka S e quello che preoccupa maggiormente la comunità internazionale, e cioè il sistema autonomo STM Kargu-2.

Il drone Kargu-2 è una delle più inquietanti e letali macchine da guerra prodotte dall’industria turca. Un vero e proprio asso nella manica di Ankara, che da tempo ha avviato una forte campagna di modernizzazione del proprio arsenale puntando in particolare sui droni armati.

Questo drone quadrimotore è molto diverso da quelli a cui siamo abituati nei campi di battaglia. A differenza ad esempio del Bayraktar, che è un drone utile per la sorveglianza, con molte ore di autonomia e soprattutto in grado di colpire a distanza da diversi chilometri, il Kargu-2 (prodotto dallaSTM) è un quadrimotore leggero, con un’autonomia di volo di 30 minuti e in grado di allontanarsi dalla base per un massimo di cinque chilometri. Il drone viaggia a una velocità massima di 72 chilometri orari e a un’altitudine ridotta. Queste caratteristiche farebbero pensare a uno strumento tattico non particolarmente complesso né devastante. Tuttavia, il problema nasce dal fatto che il drone è sostanzialmente “autonomo”. Il meccanismo di azione si basa esclusivamente sul primo comando dato dal pilota. Una volta che l’addetto inserisce all’interno del software del Kargu-2 le coordinate d’attacco o che inserisce il profilo per il riconoscimento facciale dell’obiettivo, il drone viaggia in maniera del tutto indipendente dai comandi del pilota, e piomba sul bersaglio esplodendo a pochissimi metri dal suolo. Dal momento dell’inserimento dei dati, il pilota, in sostanza, può completamente disinteressarsi del bersaglio e del Kargu, aspettando solo la buona riuscita della missione.

È proprio per questo motivo che molti osservatori guardano con enorme preoccupazione a quanto avvenuto in Libia nel marzo del 2020. Alcuni considerano l’utilizzo di questo drone autonomo come un vero e proprio punto di svolta del modo di condurre la guerra e affermano che si tratta di un evento il cui impatto lo si potrà scoprire solo tra alcuni anni. Come ricordato da Giampaolo Cadalanu per Repubblica, la Campagna per fermare i robot assassini è una battaglia che ha soprattutto l’esigenza di evitare che le guerre finiscano in un’area completamente disumanizzata, con macchine che non possono in alcun modo compiere complesse scelte etiche”. Molti ne chiedono il bando immediato, altri paesi provano a chiedere l’utilizzo di armi in cui il fattore umano sia sempre decisivo. Quello che è certo è che siamo di fronte a un cambio di passo nella guerra, non solo di Libia. E in questo turning point, la prima mossa sembra averla fatta la Turchia nella martoriata Libia. Lì dove l’Italia prova a rientrare in partita.

Pubblicato da edizioni24

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