Afghanistan, la supercazzola di D’Alema, sembra Conte: “Definire terroristi i Talebani è una stupidaggine”

Terroristi i Talebani? Una sciocchezza». Intervistato dal Domani, Massimo D’Alema non smentisce l’abitudine al tono liquidatorio anche se l’argomento è la tragedia afghana. Ma è anche vero che quasi mai le sue riflessioni sulla politica internazionale appaiono scontate o banali. E i Talebani non fanno eccezione. «Sono un movimento fondamentalista, violento e intollerabile per i comportamenti contro le donne e contro le minoranze – concede D’Alema -. Ma credo sia sbagliato definirli un gruppo terrorista. L’Isis – prosegue – è un gruppo terrorista. I Talebani sono un movimento politico, come Hezbollah e Hamas. Definirli terroristi è una stupidaggine. Tant’è – ricorda – che gli americani parlano con i Talebani ininterrottamente dal 2018».

Un dialogo a suo avviso necessario «anche per evitare una catastrofe umanitaria». Ma mescolate alle valutazioni sullo scenario internazionale, pesano anche le considerazioni di politica interna. Fecero rumore, in tal senso è le parole di Giuseppe Conte quando auspicò il dialogo con i nuovi padroni dell’Afghanistan. Ma D’Alema lo difende e definisce «surreale» il dibattito nato su quelle dichiarazioni. «Il vero problema – argomenta – è come parlare con i Talebani senza che questo significhi un riconoscimento formale della legittimità del loro governo». In ogni caso, non furono i Talebani i responsabili dell’attentato alle Torri Gemelle. «Quella – ricorda – fu opera di una elite araba, per lo più saudita, che era finita sulle montagne dell’Afghanistan perché lì l’avevano portata gli americani, che avevano favorito la creazione di un movimento di volontari islamici per combattere contro i sovietici».

E qui a riecheggiare, invece, sono i toni della vecchia scuola comunista. D’Alema infatti sottolinea che «la preparazione politico-militare del campo fondamentalista» fu voluta dall’occidente. E questo «perché i fondamentalisti erano i principali alleati in chiave anticomunista e antisocialista araba». Meno condizionata dall’ideologia la sua analisi sulla risposta  militare occidentale dopo l’11 Settembre. «Ha ottenuto qualche risultato», dice infatti l’ex-segretario diessino. A fallire, invece, è stata «l’idea che la democrazia si possa esportare». Così come «le primavere arabe». In poche parole, è la conclusione, stavolta scontata di D’Alema, «l’omologazione culturale non funziona».

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