1,7 miliardi di euro per vedere baci gay e volgarità. Più che un Festival è stato il “Rai pride”

Il Rai pride del festival è indiscutibile. Un orgoglio puro e duro, un carosello di baci e abbracci di vario tipo ma da tutti i tipi. A carnevale ogni scherzo vale e a Sanremo si andati secondo ultimi usi e costumi. Prevedo sollevazioni e lucarellate, registro l’idem vedere, tra paillettes e ipocrisie massime. In principio fu Celentano. 24mila baci, festival 1961. Dopo di lui, il diluvio.

In verità si dovrebbe trattare d’altro ma nell’ultimo festival sono saltate tutte le marcature, imprevedibili e previste, a cappella e scritte, baci mille e poi cento e mille ancora, come scrisse Catullo a Lesbia per una notte infinita. Ma all’Ariston, a parte l’analogia sull’eternità della notte, non è stata tutta poesia ma farsa e trivio. Una rassegna del memoremigismo rivisto e corretto, là un colpo ambiguo al sedere provocò il licenziamento toccata stante del cantante responsabile, qui applausi e risate varie, direi avariate. Si è avuta l’impressione, direi la certezza, che il festival sia stata l’occasione del libera tutti, partendo da Zelensky, passando da Mattarella, per arrivare alla banda musicale dell’Aeronautica militare, l’inno di Mameli e la bamba da banco, i seni disegnati e quelli verissimi, un carnevale con coriandoli bagnati, una festa che ha stretto a coorte milioni di italiani per share non per condivisione. Il tutto grazie anche agli 1,7 miliardi di euro che ogni anno entrano nelle casse della Rai con il canone.

Riassunto delle cinque puntate: Amadeus e Morandi in coppia hanno sbaciuccato le guance della Ferragni e della Fagnani, Gianni Morandi appassionatamente ha baciato la moglie Anna, i Coma_Cosa, Francesca e Fausto, hanno chiuso il loro duetto con il bacio e il fiocco dell’annuncio matrimoniale, l’inquietante Rocio ha spavaldamente affrontato la bocca di Amadeus lasciando perplessa la signora Civitillo Giovanna; poi la svolta, si fa per dire, Fedez e J.Ax quattro labbra unite e, come gran finale, in mezzo a tutta questa gente, Rosa Chemical, prima è sceso in platea, poi ha mosso il proprio deretano in faccia a Fedez il quale non ha respinto l’avance, anzi ne ha approfittato, mimando l’atto conseguente di penetrazione, poi il cantante concorrente lo ha trascinato sul palco e qui lo ha avvinghiato nel bacio vero, con bramosia forte, perché il giovane di Rivoli ha ammesso l’innamoramento. Una colossale sceneggiata, per metterci tutti più tranquilli e in pace con la coscienza: sparito di colpo ogni accenno al Me too, escluso ogni tipo di denuncia per molestie sessuali, al massimo si è registrata una smorfia di sorpresa e disappunto di lady Ferragni per la pubblica fuitina del consorte.

Il quadro generale è da avanspettacolo. Qui non si tratta di diversità, ormai accertata, infine accettata e certificata, semmai c’è da capire la voglia matta di una esibizione continua, la manifesta affermazione di un’omosessualità, prima segregata, repressa, imprigionata e poi liberata ma non con la dignità che le compete ma ormai senza limiti e in tutte le sue forme esteriori, anche le più folkloristiche, cariche di orgoglio fasullo, volgari e dunque controproducenti a una causa umana e sana.

Stefano Coletta, capo di Rai 1, si è spiegato: «Penso che la televisione debba rappresentare tutta la società, nella sua interezza. Che sia interessante la complessità» ed ha aggiunto: «Essere attaccati per l’orientamento sessuale, per demolire la professionalità con letture omofobe è una ferita e niente ti può risarcire. Spero di essere letto non per la mia vita privata». Fin qui, non c’è virgola sbagliata. C’è un però che proprio il festival ha ribadito: l’eccesso, l’esasperazione, la diversità (non si tratta dei diritti, questi insindacabili) da esibire a tutti i costi, in uno spot pubblicitario, nel testo di una canzone, nei monologhi. Il bacio è forma di massimo affetto ma per questo dovrebbe essere personale, privato, quasi nascosto, quando diventa spettacolo, a parte casi di emozione ed amore puri, si trasforma in protagonismo e ostentazione. L’ossessione della diversità la rende, paradossalmente, omogenea, uniforme, quasi si debba affermare l’indistinto come valore assoluto, unico, giusto e la differenza, come in aritmetica, una sottrazione o, addirittura, una violenza.

Pubblicato da edizioni24

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